Mancano quindici minuti alle ventuno quando ci accingiamo ad aprire il portone. Il nervosismo è stemperato dalla sicurezza che ogni nuova esperienza può solo arricchire. Nonostante ciò qualche dubbio rimane. Guardo Fred. Non parliamo, anzi ci togliamo quasi imbarazzati gli sguardi di dosso. Lui si aggiusta la tracolla con all’interno la sua reflex. Io la sciarpa. Fa freddo questa sera a Verona e deve ancora arrivare la notte.
Entriamo. Ci viene incontro subito Mario. Ci stava aspettando. Il suo sorriso e la sua calorosa stretta di mano sono rassicuranti. Trasmettono con decisione un senso di serenità.
Ci guardiamo attorno. Sembra proprio un magazzino di qualche ipermercato. Ben disposti nei diversi ripostigli: alimentari, vestiario, coperte e altro ancora. Prima di accomodarci nella stanza adibita ad ufficio di Mario, veniamo colpiti anche da un altro elemento. C’è un via vai di persone. Età più disparate. C’è fermento. Non confusione, tutt’altro. Si nota una spiccata organizzazione. Chi riempie di tè caldo i thermos. Altri sistemano le singole borse dove all’interno c’è il pane e le posate. Alcuni si occupano della frutta e del dolce, mentre c’è chi fa l’inventario dei capi d’abbigliamento da distribuire. Anche sulle coperte c’è una stima, ma di quelle si abbonda un po’. Purtroppo in queste notti non sarebbero mai troppe. E’ quasi tutto pronto. A momenti arriverà anche il piatto caldo. Questa sera è il gruppo degli Alpini della zona che si sono resi disponili a preparare una zuppa calda.
Ci isoliamo dall’entusiasmo emanato da queste persone per entrare nell’ufficio di Mario. E’ giunto il momento di fare quello per il quale abbiamo fissato questo incontro alla sede della Ronda della Carità.
Fred si è reso disponibile ad appoggiare l’iniziativa di Antonio Amendola di Shoot 4 Change legata al progetto di Ghosts – Fantasmi. Dare visibilità agli invisibili, a chi ha perso un’identità. Senza tetto, homeless, sans-papiers. Sensibilizzare su un tema così fortemente attuale. Sarà di Fred il compito di immortalare, prima di tutto con la sua sensibilità e poi con la macchina fotografica, Alessandro e Ivan, due dei senza dimora aiutati in questo duro inverno dalla Ronda. Dal canto mio invece, cercherò con la parola prima e con la scrittura poi di mettere nero su bianco quello che avranno da dirci. Niente domande. In silenzio ad ascoltarli. Mi auguro che il risultato di queste foto e di questo testo (disponibile sul sito di Shoot 4 Change) rappresenteranno realisticamente l’incontro che stiamo per fare.
Intanto in ufficio ci raggiunge anche un capostipite della Ronda della Carità. Anche lui si chiama Antonio. I suoi occhi brillano. Lo si può ben notare nonostante porti gli occhiali da vista. Questa volta non è il freddo, dev’essere invece quell’energia che accomuna tutte le persone all’interno della Ronda. E’ da più di dieci anni che fa volontariato. Con le sue pacate parole ci racconta di questa realtà. Di quante persone mettono a disposizione parte del loro tempo ogni sera. Di quante aziende locali li aiutano nella loro raccolta di cibo. Dei privati che fanno donazioni. Insomma di quante Bella gente c’è intorno, nonostante il bombardamento mediatico che ci vorrebbe tutti truffatori, disonesti, menefreghisti o, nella migliore delle ipotesi, bamboccioni e teledipendenti.
Intanto arrivano anche Alessandro e Ivan. Che incontro!
Non vi voglio anticipare nulla, però è stato umanamente uno dei più intensi momenti d’ascolto. Storie, sguardi, semplici gesti.
Mezz’ora, non tanto di più, poi Antonio gentilmente ci dice che è arrivato il momento. Le squadre sono pronte. I due furgoni caricati sono fuori già accesi. Si esce. Sulla strada. Iniziano quei giri che ogni sera, ogni notte, sette giorni su sette i volontari della Ronda della Carità compiono per portare un pasto caldo. Un indumento. Una coperta. Un sorriso.
Saliamo sul furgone. Alla guida si mette Antonio. Familiarizziamo subito con la “nostra” squadra. C’è di tutto. Studenti, lavoratori, studenti/lavoratori, ma soprattutto gioia. Gioia per essere lì, per iniziare un’altra serata al servizio altrui. Sembra di essere in partenza per una missione. Una missione di amore.
Ci portiamo al di là dell’Adige. Stiamo per entrare in quella zona di Verona che presenta una dichiarata contraddizione. A due passi c’è l’Università, il luogo per eccellenza dedicato al sapere, alla cultura, all’evoluzione dello spirito umano attraverso l’apprendimento. Poco più in là, qualche laterale più avanti, un’area dove l’immigrazione ha trovato insediamento, con non poche problematiche d’integrazione e con qualche furbetto indigeno, che ha ben pensato di affittare a prezzi salati, spazi ridotti ai forestieri di turno.
Facciamo la prima sosta vicino ad una stazione di servizio. Mi informano che questa tappa sarà la più importante, visto che normalmente accoglie un numero significativo di senza tetto. Infatti è così, neanche il tempo di spegnere il furgone ed aprire il portellone laterale per scendere, che iniziano ad avvicinarsi una quindicina di “fantasmi”.
La squadra è ben affiatata, lo si capisce subito da come si muovono per distribuire nel minor tempo possibile, il tanto sospirato cibo. Io e Fred, entriamo subito in questi nuovi ruoli e senza intralciare gli altri, distribuiamo l’acqua e il tè caldo. I ragazzi della squadra sono fantastici. Operano quasi fossero dei professionisti. C’è chi scambia qualche parola, però senza essere invadenti e comunque mantenendo sempre il giusto equilibrio per gestire un’eventuale emergenza.
Si avvicinano altre quattro persone desiderose di mangiare. Al termine di questa prima tappa in totale saranno diciannove. Per lo più sono nord africani o ragazzi dell’Est Europa. Ci sono diversi giovani. Ci sono tante storie nei loro occhi.
Dopo averli fatti mangiare, si passa a distribuire qualche capo per chi è a corto di vestiario. Le richieste maggiori riguardano naturalmente le coperte, d’altronde la lancetta del barometro farà fatica arrivare allo zero questa notte. C’è un freddo che penetra nelle ossa. Solo rimanere fermi in piedi per qualche minuto è una sfida non da poco per il corpo rabbrividito.
Si cerca di rispondere alle diverse richieste, ma dobbiamo ripartire, il giro è ancora lungo.
Facciamo un altro paio di tappe in aree adiacenti. Troviamo meno gente. Gruppi di tre, al massimo quattro persone. Si ripete con naturalezza il cerimoniale. Per ripartire alla volta poi di una spazio vicino all’antico Teatro Romano. Qui troviamo forse l’unico degli homeless che sembra raccogliere la componente poetica di una tale scelta di vita. Una lunga barba bianca, uno sguardo intenso e una voglia di intrattenersi ed intrattenere con la parola. Da lontano lo guardo nel suo gesticolare, mentre Antonio si prende una pausa dal posto guida del furgone e scende per fare quattro chiacchiere con me. Mi racconta della storia architettonica dei luoghi che stiamo calpestando. Mi descrive entusiasticamente le origine romaniche di questa città, indicandomi con l’indice i luoghi più suggestivi di Verona. In questa piacevole descrizione anche il pittoresco homeless che ha trovato dimora all’interno di un sottoscala romanico, appare ben incastonato nella storia. Peccato che siamo nel’anno duemiladieci e la dignità e l’integrità del singolo non sono ancora completamente rispettate.
Ripartiamo, ormai siamo in giro già da un’ora e mezza. Attraversiamo una laterale del centro per controllare che non ci sia sfuggito qualcuno da aiutare e poi ci dirigiamo nelle vicinanze della tomba di Giulietta. Qui c’è un ultimo gruppo di persone che ci aspetta. Alcuni vengono anche svegliati dal nostro arrivo, effettivamente non è proprio l’orario più consono per cenare, però riaprono volentieri gli occhi quando ci vedono.Anche qui un’altra situazione di contrasto. Una coppia accovacciata e infreddolita a terra e a fianco a loro un luminoso locale da poco inaugurato. Sembra quasi finzione, ma non lo è. Non ci sono limiti ai paradossi.
Torniamo alla base. E’ mezzanotte e un quarto. Anche per questa sera i giri della Ronda della Carità sono terminati. Stringo la mano ai tutti i componenti della “mia” squadra. Li guardo ad uno ad uno negli occhi. Avrei tante cose da dirgli. Mi limito ad un semplice, ma sentito grazie. Questa sera ho avuto l’onore di fare parte di loro. Questa sera ho avuto il piacere di vedere con i miei occhi che esistono ancora tante brave persone. Non so se quello che andrò a scrivere sarà all’altezza, sicuramente però glielo vorrò dedicare. Se lo meritano con tutto il cuore.
Bravi ragazzi.