«Oggi c’è da fare parecchio perché prepariamo i pacchi famiglia», mi dice Luciano, e io mi aspetto di avere quelle scatole regalo rosse sgargianti e invece mi trovo con capienti sporte della spesa. 

Inserirsco legumi, pelati, pasta, zucchero, farina, olio, tonno, biscotti… prende forma dentro di me che la Sporta della Ronda è qualcosa di essenziale per pranzi e cene e mi rendo conto che la scatola di fagioli che ho nella dispensa di casa mia – che  rischia di scadere – è un pasto assicurato e quel barattolo prende un colore e una forma nuova. 

La sporta robusta si riempie sempre più e mi avvilisco quando vedo che non ci sta più nulla e che  peso e volume aumentano  notevolmente. Preparo in bell’ordine 50/60 sporte stracolme e  gonfie come salsicciotti. 

Arriva il giorno della consegna e le mie sporte diventano le star della giornata e visualizzo l’immagine di questa sporta,  fiera e imponente, sul tavolo di una cucina pronta ad essere smistata.

Arriva una giovane donna, molto minuta che consegna il suo foglio per la firma e il ritiro. Si mette da parte per non intralciare il resto della fila, cerca di sistemare il contenuto che trabocca e prende le maniglie saldamente per non far cadere nulla. Osservo la scena, ma non riesco a restare ferma così mi avvicino e le chiedo se posso aiutarla e le si illuminano gli occhi, che sono tutto ciò che vedo, a  fatica, perché la mascherina è davvero grande per quel viso così piccolo. Ha voglia di parlare e comincia a ringraziarmi così tante volte che mi imbarazzo parecchio. Mi racconta che ha sempre lavorato da quando ha terminato la scuola, che non ha mai avuto momenti di difficoltà, che ora è da sola con la sua creatura di 8 anni, che da un anno e mezzo non lavora più e non sa come fare ad  andare avanti. 

La spontaneità del suo racconto, l’umiltà delle sue parole, l’umanità della sua condizione mi emozionano così profondamente che non riesco a pronunciare una sola parola di circostanza perché dentro di me tutto è bloccato e le faccio un timido  sorriso, che può aver visto solo attraverso i miei occhi. 

Torno verso la mia postazione e vedo l’anziano marocchino che, pur essendo in Italia da parecchi anni, ancora non sa una sola parola d’italiano; c’è la ragazza con il figlioletto in mano; c’è l’uomo che deambula con le stampelle e sua moglie un passo dietro a lui.

Quello che vedo è la realtà di questi tempi, di questi mesi, di questi giorni.

Proseguo la consegna delle sporte che io ho soprannominato la sporta della dignità, dell’umiltà e della  speranza perché non consegnamo solo generi alimentari, ma tutto quello che la solidarietà riesce a colmare nella vita di Persone in bilico, Persone che in cambio ti restituiscono molto di più attraverso quel valore che a volte perdiamo di vista e che si chiama l’essere umano.

Tra-sporta-re umanità non è poi così impossibile.  

È solo una delle storie che raccontiamo nel nostro bilancio sociale (che trovate qui)