Tratto dall’Arena del 10.04.2020

Si parla della crescita esponenziale delle persone senza tetto, raddoppiate in meno di un mese, delle storie e speranze di alcune persone che ogni notte incontriamo.

Grazie Giampaolo Chavan

«La nostra vita è molto più brutta da quando tutti sono a casa per il Coronavirus. Siamo sempre e solo noi tre, quattro amici , non troviamo mai nessuno per strada con il quale parlare». Il senzatetto ha 52 anni, è originario della Francia, dorme sotto i portici di piazza Bra all’angolo con via Roma sotto le vetrate dell’Unicredit.

Ai tempi del coronavirus, «il francese» come viene chiamato da suoi amici, Tony, Margherita, in cinta all’ottavo mese, con il suo compagno Mohamed, il senegalese Maick, solo per citarne alcuni, sono i veri padroni della città di notte.

Due sere fa, i volontari della Ronda della carità hanno distribuito 170 pasti ai senzatetto, la sera prima erano 138, domenica erano 160. Dalle 21 in poi, ci sono solo loro in giro per le strade della città. La situazione, però, rischia di esplodere. I dormitori comunali sono inaccessibili perchè lo sportello dell’accoglienza in Comune è chiuso, fanno sapere dalla sede di via Garbini in Borgo Roma, e i senzatetto potrebbero aumentare in modo vertiginoso nel giro di qualche sera.

Se la notte è di chi non ha un soffitto sulla testa, il giorno è anche dei volontari della Ronda che preparano i pasti, guidati dallo chef Francesco Avesani ex titolare della pizzeria «Alla fontana» di Avesa. I pasti vengono poi distribuiti su tre furgoni alla sera. Ora sono in sei i volontari a muoversi, due a veicolo, tutte le sere. Prima dell’epidemia, si muovevano in molti di più: «Ragioni di sicurezza», spiega il vice presidente della Ronda, Alberto Sperotto, «dal momento dell’epidemia, il nostro lavoro è cambiato radicalmente».

C’è il protocollo, aggiunge, «dobbiamo essere più rapidi nella consegna dei cibi, dobbiamo indossare mascherine e guanti, dobbiamo mantenerci a distanza di un metro dai senzatetto». Nessuno tra loro è risultato positivo al Corona virus: «Lo chiediamo a tutti i nostri «assistiti» e fino ad oggi è emerso che nessuno è stato ricoverato o ha i sintomi tipici della malattia».

Basta un rapido giro tra le strade della città in tarda serata per conoscere il variopinto mondo dei senzatetto nell’era del Coronavirus. E appena vedono il taccuino, davanti all’ingresso della fiera, sono in molti ad avvicinarsi per far conoscere la loro storia, le loro richieste, le loro speranze di una vita migliore.

Ad iniziare da Margherita, 31 anni, incinta all’ottavo mese. È accompagnata da suo marito Mohamed, 38. Vivono sulla strada. Dormono dove capita, mangia ciò che gli porta la Ronda della carità e attende l’arrivo del suo terzo figlio. «Gli altri due piccoli», fa sapere, «vivono con mia madre. Il 17 aprile è il compleanno della bimba». Lei non sta con la madre, ha paura perchè è costretta a vivere anche «con chi si droga, spaccia e nessuno ci aiuta. Ho chiamato gli assistenti sociali di Castel D’Azzano ma non c’è stato nulla da fare. Le dò il mio cellulare, se trova qualcuno che ci può dare la casa (e indica il marito ndr) ce lo sappia dire». E ancora: «Lavoravo alle Poste», racconta Margherita, «ma poi le tre gravidanze mi hanno impedito di continuare e ora mi trovo sulla strada così come mio marito che lavorava all’Agec».

C’è poi Tony, uscito due anni fa dal carcere di Padova dopo aver scontato un cumulo di pene di nove anni e otto mesi per furti e spaccio. In realtà, ha trascorso in cella diciassette anni della sua vita seppur in due periodi diversi. «Fino a poco tempo fa», racconta il veronese di 46 anni, «lavoravo per una cooperativa che accoglieva migranti ma poi non riuscivo neanche a fare i turni di riposo, lavoravo fino a 12 ore al giorno e ho deciso di lasciare ed ora eccomi qui. Dove dormo? In un parco là (e indica un luogo non meglio precisato dietro la fiera ndr). Evito di frequentare chi si droga o spaccia, potrei ricascare in quella vita ma ho detto basta con quel mondo».

E che dire del senegalese Maick, 24 anni, con permesso di soggiorno, un lavoro da sarto a Brescia, l’accademia da frequentare a Valeggio e il sogno di aprire un laboratorio tutto suo. «Ma nessuno mi affitta una casa anche se ho un regolare stipendio e posso pagare l’affitto». Un caso molto diffuso, rivela Sperotto, «sono in molti a lavorare anche in nero ma poi non trovano chi affitta loro la casa».

Anche nel prato davanti al campo di calcio La Busa di San Zeno si dormiva l’altra sera. C’era Matthias stordito dall’alcol ed un suo amico che non si è nemmeno svegliato all’arrivo delle volontarie della Ronda, Antonella Mezzani di Peschiera ed Elisabetta Zanin di Lugagnano. Ai lati del loro letto, c’erano gli avanzi della loro serata: cinque confezioni di vino in scatola con bottigliette di plastica.

Si ritorna verso il centro della città, in piazza Bra. Le scorte di cibo ad uno dei tre furgoni sono finite. Si va lì all’angolo tra piazza Bra e via Roma. Lì c’è il «francese», un lavoro da autista, abbandonato dopo che la sua azienda ha dimezzato il personale. La fine della relazione con la moglie, l’appuntamento tra pochi giorni al tribunale dei minorenni per l’affidamento della figlia minore e alle spalle una vita con l’ombra della bottiglia sempre accanto. «Mia moglie mi ha lasciato perchè bevo, sono alcolizzato» lo dice guardando per terra, «e poi adesso con il Coronavirus tutti i bagni sono chiusi. Non sappiamo più dove lavarci. Prima almeno si andava in ospedale. Ora neanche più quello», lo dice dopo aver rialzato lo sguardo. Poi si passa una mano sul viso, ti guarda, non parla più e se ne va verso il suo letto: due coperte, una distesa sul marmo, l’altra per coprirsi e il gradino all’ingresso della banca come cuscino.